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L’inaspettata vitalità dei dialetti italiani. Un nuovo interesse al di là dei pregiudizi


Dialetti italiani

Già negli anni Sessanta sembravano destinati a scomparire, ma non è stato così. Al contrario, stiamo assistendo alla loro riscoperta nei campi più diversi, grazie anche ad atlanti linguistici, grammatiche e vocabolari dialettali.

L'inaspettata vitalità dei dialetti italiani.
Il monumento dedicato al poeta milanese Carlo Porta in via del Verziere nella sua città natale

La rinascita dei dialetti: Dal declino alla riscoperta

“Secondo me, la differenza tra la lingua italiana e il dialetto, è che la lingua italiana, si capisce meglio, è più morbida e tranquilla, e si esprime anche con amore; e invece il dialetto si dice a voce alta e incompresa, con un tono ombroso, e si esprime anche con un po’ di odio. In verità, penso che sia preferibile parlare in italiano, perché è una lingua che esprime secondo me tanto amore per gli altri”. Chissà dove si trova oggi quella bambina o quel bambino di Alberobello (BA).

Frequentava la scuola elementare quando ha partecipato a un sondaggio condotto dal 1995 dal dialettologo Giovanni Ruffino, professore di Linguistica italiana all’Università di Palermo, presidente del Centro di studi filologici e linguistici siciliani e accademico ordinario della Crusca. La domanda era: “Qual è secondo voi la differenza tra lingua italiana e dialetto?”. Ruffino l’ha posta a 9.000 giovani, dal Trentino-Alto Adige alla Sicilia, e ha raccolto altrettanti giudizi e pregiudizi, che ha poi riportato fedelmente nel libro “L’indialetto ha la faccia scura” (Sellerio, 2006).

Negli anni di avvio dell’indagine, secondo l’Istat, 24 italiani su 100 dichiaravano di usare “solo o prevalentemente il dialetto”. Vent’anni dopo sono solo 14 (i dati dell’ultima indagine sono stati pubblicati alla fine del 2017 ma si riferiscono al 2015) e “soprattutto quelli con basso titolo di studio”. Il dialetto muore, si potrebbe pensare. Eppure nello stesso grafico c’è un’altra curva che punta verso l’alto. “Sia l’italiano che il dialetto” riporta la legenda: nel 1995 era il 28%, oggi è il 32%. Quindi il dialetto resiste, soprattutto nel Nord-Est e nel Sud. Carla Marcato è professore ordinario di Linguistica e varietà italiane e Storia dell’italiano all’Università di Udine, ateneo di cui ha diretto il Centro internazionale sul plurilinguismo (Cip). Per “il Mulino” ha curato il volume “Dialetto, dialetti e italiano”.

Le previsioni sull’estinzione del dialetto che emergono dai freddi dati dell’Istat non la entusiasmano. È più interessata alla sua “trasformazione”, al suo rapporto con l’italiano e a quella che chiama la complessa e mutevole “situazione del parlante”. “I dati più interessanti riportati dall’Istat non riguardano tanto gli usi esclusivi del dialetto”, spiega Marcato, ”che mostrano un calo atteso, ma piuttosto le alternanze italiano-dialetto. Perché queste mostrano come il dialetto, o i dialetti, non siano esclusivi ma ci siano”. L’obbligo scolastico, la maggiore esposizione alla lingua nazionale e al suo “prestigio” e i crescenti contatti con il mondo esterno hanno reso l’italiano più “disponibile”, continua Marcato.

E i pregiudizi sono avversari difficili da sconfiggere: “Il dialetto è ancora considerato da alcuni come una lingua di cui vergognarsi”. Proprio come in passato. “La lingua italiana si parla con i genitori e con altre persone importanti e ordinate” – ha riferito un altro giovane ‘intervistato’ di Genivolta (CR) all’indagine di Ruffino – ‘mentre il dialetto si parla nelle fattorie e dai contadini’. Accanto al pregiudizio, però, Marcato nota come tra le persone istruite la “paura” del dialetto abbia lasciato il posto all’interesse. “A volte incontriamo il dialetto dove non ce lo aspetteremmo: in un articolo di giornale che tratta di cultura o di sport. Dove chi ha competenze e dimestichezza con la scrittura in italiano passa al dialetto per curiosità, interesse o semplicemente per motivi espressivi”.

Dialetto infografica

La “rinascita del dialetto” si ritrova anche “nella pubblicità, nelle insegne di negozi, bar e ristoranti, nel web, nei fumetti, nelle canzoni, nelle radio e televisioni locali” (Ruffino). Una coesistenza che, per il professor Marcato, fa del dialetto anche “una sorta di serbatoio da cui attingere per arricchire la propria lingua, per divertire, per divertirsi, per essere diversi dagli altri”, come spesso si nota negli usi linguistici dei giovani. Una relazione tra pari. “Da un punto di vista strettamente linguistico”, chiarisce il professor Ruffino, ‘tra lingua e dialetto non c’è alcuna differenza in termini di struttura del sistema e di funzionamento: entrambi hanno una propria fonetica, una propria morfologia, una propria sintassi, un proprio repertorio lessicale’. E “la differenza tra lingua e dialetto può basarsi solo su criteri storici, culturali e sociali (o sociolinguistici)”.

Quindi il dialetto è (anche) scritto. “Una persona colta, di cui non faccio il nome, ha recentemente affermato che la differenza tra dialetto e italiano è che il dialetto non è scritto”, ricorda Marcato. “Non è affatto così: la rimando ai testi scritti di Carlo Goldoni”. O a quelli di Carlo Porta (1775-1821), le cui “Poesie” scelte e tradotte dal dialetto milanese dalla poetessa Patrizia Valduga sono state ripubblicate quest’anno dall’editore Einaudi. Non a caso il “Grande dizionario italiano dell’uso” un tempo diretto da Tullio De Mauro definisce il dialetto come un “sistema linguistico”. Che non può essere necessariamente “insegnato” come se fosse imbalsamato, appiattendo le profonde differenze tra i dialetti del nostro Paese. “Se volessi introdurre il dialetto come insegnamento scolastico”, riflette Marcato, ‘dovrei avere un dialetto di riferimento’. Quale? Per esempio, che tipo di siciliano? Ogni Paese ha le sue piccole o grandi differenze”. Quindi? “Più che insegnare il dialetto in quanto tale si dovrebbe insegnare a conoscere e apprezzare la cultura locale di cui quel dialetto fa parte. Come se fosse un bene e un patrimonio di un determinato territorio. Non insegnerò una grammatica priva di significato, ma la conoscenza di uno strumento di comunicazione legato alla cultura locale. Ma insegnare il dialetto come se fosse una lingua straniera non ha molto senso”.

“La “rinascita del dialetto” si ritrova anche “nella pubblicità, nelle insegne di negozi, bar e ristoranti, sul web, nei fumetti, nelle canzoni, nelle radio e televisioni locali”” – Giovanni Ruffino

E questo condiziona anche lo studio del dialetto. “Oggi prevale lo studio del dialetto in relazione all’italiano, come situazioni d’uso o percezione dell’uso. In passato” – continua Marcato – ”prevalevano gli studi descrittivi: fonetica, trasformazioni o fatti storici. Gli strumenti a disposizione di chi voleva conoscere i dialetti sono molti: atlanti linguistici, grammatiche e vocabolari dialettali, scritti in dialetto (molti dei quali di natura letteraria). “I vocabolari ottocenteschi”, continua Marcato, ”sono stati compilati per migliorare la conoscenza dell’italiano attraverso il dialetto (milanese, ad esempio, come quello di Francesco Cherubini, o piemontese, veneziano, napoletano, genovese). Che non è il dialetto di oggi”.

“Più che insegnare il dialetto in quanto tale, bisognerebbe insegnare a conoscere e ad apprezzare la cultura locale di cui quel dialetto fa parte.”- Carla Marcato

Questi vocabolari vengono ristampati ma anche continuamente compilati. “Attualmente, chi compone vocabolari lo fa più che altro per registrare le parole del proprio tempo, per documentare uno stato di cose, per fare memoria delle parole. Evitando, da un lato, di trasformarlo in un “vago passato” o, dall’altro, di cadere nel rischio, segnalato da Ruffino, di una “folklorizzazione che isola il patrimonio della cultura popolare dal suo autentico contesto comunicativo, socio-culturale e storico”. Le leggi regionali chiamate a promuovere la valorizzazione e la tutela dei dialetti dovrebbero intervenire con questa attenzione. Anche sostenendo opere, manifestazioni o canzoni dialettali. Dato per morto già negli anni Sessanta, il dialetto continua a sopravvivere, ricorda Marcato. “Ma la morte di una lingua è un fatto naturale e può accadere anche al dialetto. Quando non lo sa, e non è detto che accada”. Aveva ragione, in fondo, quel giovane di Terrasini (PA) che alla domanda del professor Ruffino rispondeva: “Per me la lingua italiana e il dialetto sono lingue molto belle”.

La ricchezza dei dialetti italiani e le differenze rispetto all’italiano standard

L’italiano standard è la lingua ufficiale della nazione, ma la penisola italiana è ricca di dialetti unici che riflettono la diversità e la vivacità storica.

L’Italia è un Paese noto per la sua ricca storia, arte, cultura e diversità linguistica. Mentre l’italiano standard è la lingua ufficiale della nazione, la penisola italiana è ricca di dialetti unici che non solo riflettono la diversità storica e regionale del Paese, ma offrono anche uno sguardo alla vivacità della cultura italiana. Alcuni dialetti sono così diversi che chi parla l’italiano standard può avere difficoltà a comprenderli. Per esempio, il napoletano parlato a Napoli ha un ricco vocabolario e differenze fonetiche che lo distinguono dalla lingua parlata a Roma.

In questo articolo daremo un’occhiata all’intrigante mondo dei dialetti italiani, esplorandone le origini, le caratteristiche distintive e alcune affascinanti curiosità.

Origini e diversità - Influenza sulla cultura italiana.

Origini e diversità – Influenza sulla cultura italiana.

I dialetti italiani affondano le loro radici nelle antiche lingue regionali e nel latino. Oggi esistono circa 34 dialetti italiani principali, ognuno con un proprio vocabolario, pronuncia, sfumature grammaticali e significato.

La storia dell’Italia, fatta di città-stato e divisioni regionali, ha contribuito allo sviluppo di vari dialetti. Alcuni di essi sono stati influenzati dalle invasioni e dagli insediamenti del Nord Europa; altri hanno mantenuto elementi delle loro origini medievali e sono noti per il loro suono distinto e melodioso. Non sorprende che i dialetti abbiano influenzato la musica popolare tradizionale delle varie regioni, aggiungendo un sapore unico alle loro canzoni e celebrazioni.

Consideriamo la pittoresca isola di Sicilia, dove il dialetto siciliano è ancora ampiamente parlato. Il siciliano non solo si differenzia dall’italiano standard, ma vanta anche una ricca tradizione letteraria. Autori famosi come Giovanni Verga e Luigi Pirandello hanno scelto di scrivere le loro opere in siciliano, infondendo nelle loro storie il fascino e il sapore unici della regione.

I dialetti italiani hanno dato un contributo significativo al patrimonio culturale del Paese. La letteratura, la musica e persino il teatro sono stati fortemente influenzati dai dialetti regionali.

Le opere di autori come Dante Alighieri, che scrisse “La Divina Commedia” in dialetto toscano, hanno avuto un impatto duraturo sulla letteratura italiana.

Nel campo della musica, il dialetto napoletano risplende nelle canzoni classiche napoletane come “O Sole Mio”. Queste canzoni hanno superato i confini regionali e sono diventate pezzi amati della musica italiana, apprezzati in tutto il mondo per le loro melodie senza tempo e i testi sentiti.

Minacce e conservazione

Minacce e conservazione

Sebbene i dialetti italiani abbiano una forte presenza culturale, molti di essi devono affrontare sfide nel mondo globalizzato di oggi. L’italiano standard è sempre più dominante nei media, nell’istruzione e negli affari. Questo ha portato a un declino nell’uso dei dialetti tra le generazioni più giovani. Sono in corso sforzi per preservare e promuovere queste lingue attraverso corsi di lingua e iniziative culturali.

Nell’affascinante città di Alghero, sull’isola di Sardegna, sono in corso attività dedicate alla conservazione del dialetto locale, il catalano algherese. Qui cartelli stradali, festival e persino scuole abbracciano con orgoglio il dialetto, assicurandone la sopravvivenza e il ruolo nel preservare l’identità culturale unica della città.

Fatti interessanti

Fatti interessanti

  • Il dialetto siciliano incorpora parole di varie lingue, tra cui l’arabo a causa dei secoli di dominazione araba, aggiungendo un tocco esotico al suo vocabolario; vanta una ricca tradizione letteraria, con autori famosi come Giovanni Verga e Luigi Pirandello che hanno scritto in questa lingua regionale.
  • La Sardegna ospita molti dialetti unici, che riflettono la complessa storia dell’isola e le diverse influenze culturali.
  • Alcuni dialetti incorporano parole di altre lingue, come l’arabo nel siciliano e il francese nel dialetto piemontese.
  • Il dialetto italiano parlato nella regione Friuli Venezia Giulia, chiamato friulano, è noto per il suo suono distinto e melodioso.
  • Nelle regioni alpine italiane, come il Trentino-Alto Adige, accanto all’italiano si parlano dialetti tedeschi, a dimostrazione dell’ulteriore diversità linguistica del Paese.
  • Il piemontese, un dialetto della regione nord-occidentale del Piemonte, è stato influenzato dal francese a causa della sua vicinanza al confine francese. Questa fusione linguistica aggiunge un tocco di raffinatezza al vocabolario del dialetto.

I dialetti italiani non sono solo variazioni linguistiche, ma testimonianze vive della storia e della ricchezza culturale dell’Italia. Offrono un interessante viaggio attraverso le diverse regioni del Paese e forniscono una visione dell’identità unica del suo popolo. La bellezza dei dialetti italiani richiede ogni sforzo per preservare e custodire questi tesori linguistici per le generazioni a venire.

Che siate appassionati di lingue, viaggiatori o semplicemente curiosi della diversità linguistica del mondo, esplorare i dialetti italiani è un modo delizioso per entrare in contatto con il cuore e l’anima dell’Italia. La prossima volta che visiterete questo incantevole Paese, non stupitevi se sentirete qualche parola di un dialetto locale: fa tutto parte del fascino che avvolge l’Italia!


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